Il riccio comune, talvolta detto anche riccio europeo (Erinaceus europaeus), è un mammifero della famiglia Erinaceidae, che spesso viene impropriamente chiamato col nome porcospino (che invece fa riferimento all'istrice).
Il riccio presenta caratteristiche morfologiche arcaiche (come la formula dentaria e la conformazione del cervello) che lo accomuna ai primi mammiferi comparsi sulla Terra al termine del Cretaceo, rispetto ai quali non si è differenziato di molto: nel corso di milioni di anni ha solamente evoluto il rivestimento di aculei che tanto lo caratterizza agli occhi dell'uomo.
Il corpo è tozzo ed a forma di pera: infatti al muso lungo e appuntito si contrappongono il collo corto e il quarto posteriore arrotondato. Le zampe sono corte e tozze, ma i piedi hanno forma allungata e presentano tutti 5 dita con unghie appuntite: le impronte lasciate dalle zampe posteriori son assai diverse da quelle lasciate dalle zampe anteriori, al punto che possono essere scambiate dai neofiti per tracce di animali di specie differenti.
Ciascun esemplare possiede fino a 6000 aculei che variano di colore al cambio di stagione: infatti nelle stagioni fredde, autunno e inverno, gli aculei assumono un colore marroncino più scuro rispetto alle stagioni calde, primavera ed estate, in cui presentano un colore più chiaro. A questo cambiamento partecipa anche il pelo, che a seconda della stagione assume un colore chiaro o un colore più scuro.
Il riccio è un animale esclusivamente notturno: si pensa che le abitudini notturne non siano tanto una necessità dettata da esigenze di difesa, in quanto la cortina di aculei di cui dispongono li rende praticamente invulnerabili ai predatori, quanto piuttosto di un adattamento allo stile di vita delle proprie prede, che sono molto più abbondanti durante la notte. Nonostante appaia un animale goffo e generalmente si muova lentamente, il riccio è in grado di correre velocemente e si dimostra anche un ottimo nuotatore.
Durante il giorno riposa nascosto nella sua tana, costituita solitamente da una cavità del suolo posta nel sottobosco, fra i tronchi e le foglie cadute.
Durante la notte esce alla ricerca di cibo, percorrendo tragitti sempre uguali: non teme di attraversare spazi aperti in quanto è ben protetto dalla corazza di aculei. In una passeggiata notturna i ricci percorrono 1–3 km, si muovono in territori di caccia che possono estendersi fino a 30-100 ettari (da 300.000 m² a 1 km²). Le femmine, che si spostano più lentamente, hanno campi d'azione massimi di una decina d'ettari di superficie (100.000 m²).
Durante i mesi invernali (fra ottobre ed aprile), il riccio è solito cadere in letargo: tale operazione risulta però piuttosto rischiosa per l'animale, in quanto nel caso in cui esso non abbia accumulato una quantità di grasso corporeo sufficiente nel corso della bella stagione, potrebbe morire per inedia. Ciò succede soprattutto agli esemplari giovani.
In casi di freddo estremo, l'animale (la cui temperatura corporea scende dai 35 °C soliti ai 10 °C, mentre i battiti cardiaci calano da 190 a 20 al minuto) può anche uscire dal letargo per andare alla ricerca di cibo. Per il letargo, il riccio ammucchia una buona quantità di muschio e foglie secche che fungeranno da giaciglio.
L'aspettativa di vita media è di circa 3 anni sebbene possano raggiungere i 10 anni di età in assenza di pericoli e soprattutto se tenuti lontani dalle strade. La femmina partorisce in genere da 3 a 6 piccoli. Dopo un mese i piccoli cominciano a nutrirsi da soli.
L'alimentazione del riccio si basa su invertebrati di vario tipo, su uova e nidiacei, rettili ed anfibi; non disdegna nemmeno di mangiare piccoli mammiferi, soprattutto topi, di cui è considerato un cacciatore spietato in quanto uccide gli adulti e dissotterra i nidi per nutrirsi dei piccoli. In caso di necessità, i ricci mangiano senza problemi anche ghiande, bacche, frutta ed altro materiale di origine vegetale nutrendosi in casi estremi anche di foglie.
Curiosità: nell'antica Roma, il riccio veniva allevato per la sua carne; inoltre il pelo aculeato del dorso veniva utilizzato per cardare la lana e come componente dei frustini per spronare i cavalli e per svezzare i vitelli. Col tempo, la fitta copertura di aculei ha fatto sì che il riccio venisse accostato ai capelli, infatti le ceneri di questi animali, mischiate alla resina ed applicate sulla testa, erano ritenute un rimedio sicuro contro la calvizie.
Attualmente il riccio è una specie protetta dalle leggi italiane, pertanto non si può né cacciare, né detenere in cattività (oggi la specie è tutelata ai sensi della L. 11/02/1992, n.157, in quanto considerata specie non cacciabile - Specie protetta dalla Convenzione di Berna L. 5/8/1981, n.503, in vigore per l'Italia dall'1/6/1982).